Questo quesito referendario propone di modificare una norma che riguarda i risarcimenti economici che spettano a un lavoratore licenziato senza un motivo valido, nelle piccole imprese.
Secondo la normativa attuale (legge n. 604/1966, modificata nel 1990), se una persona viene licenziata senza giustificato motivo, ha diritto a un risarcimento economico, ma solo entro certi limiti massimi prestabiliti dalla legge. In particolare:
- Il risarcimento può arrivare al massimo a 6 mensilità di stipendio.
- Se il lavoratore ha più di 10 anni di anzianità, il massimo può salire a 10 mensilità.
- Se ha oltre 20 anni di anzianità, può arrivare fino a 14 mensilità, ma solo se l’azienda ha più di 15 dipendenti.
Questo significa che, per le imprese più piccole (la maggioranza in Italia, dato che secondo l’ISTAT l’85% ha meno di 10 dipendenti), il risarcimento è sempre limitato a un massimo di 6 mensilità, indipendentemente dall’anzianità o dalle condizioni del lavoratore.
Cosa chiede il referendum
Il referendum propone di abrogare questi tetti massimi, cioè di eliminarli.
Se vincesse il Sì, il giudice avrebbe maggiore libertà nel decidere, caso per caso, quanto deve essere il risarcimento, senza più un limite massimo fissato per legge. Il giudice potrebbe valutare la situazione specifica del lavoratore (età, anzianità, difficoltà di trovare un nuovo impiego, ecc.) e quella del datore di lavoro (grandezza dell’impresa, situazione economica, ecc.) per stabilire un risarcimento più personalizzato.
Se invece vincesse il No, resterebbero in vigore i tetti previsti dalla legge, quindi il massimo del risarcimento resterebbe fissato a 6 mensilità (o 10 o 14 per chi lavora in aziende più grandi con molta anzianità).
Le ragioni del Sì
Chi è a favore del Sì ritiene che i tetti attuali non siano equi, perché non permettono di compensare adeguatamente chi subisce un licenziamento ingiusto. In particolare:
- questo limite tiene i dipendenti delle piccole imprese in uno stato di forte soggezione, perché chi lavora in contesti locali e familiari ha più difficoltà a trovare un altro lavoro. In queste condizioni, sapere che un licenziamento illegittimo costerà poco al datore di lavoro rende il lavoratore più ricattabile.
- Eliminare il tetto permetterebbe di adeguare l’indennizzo alla situazione reale del lavoratore: la sua età, i carichi familiari, le possibilità di reinserimento nel mondo del lavoro, e anche alla solidità economica dell’azienda.
- alcuni economisti sostengono che aumentare le tutele in caso di licenziamento rafforzerebbe il potere contrattuale dei lavoratori e spingerebbe le imprese a investire di più in innovazione e produttività, anziché approfittare della flessibilità per contenere i costi del lavoro.
Le ragioni del No
Chi è contrario al quesito teme che l’eliminazione del tetto possa produrre effetti negativi o incerti, per vari motivi:
- Secondo alcuni senza un tetto massimo un giudice potrebbe arrivare a imporre risarcimenti altissimi, anche per le piccole imprese. Questo renderebbe i rapporti di lavoro troppo instabili e i rischi troppo alti per i datori di lavoro, soprattutto per i piccoli imprenditori.
- c’è chi è critico nei confronti del quesito: non servirebbe solo togliere il tetto massimo, ma anche alzare il tetto minimo, per garantire una base di tutela per tutti. In altre parole, serve una riforma complessiva, non una cancellazione parziale.
- Secondo i contrari, lasciando al giudice piena libertà, si rischia di creare grandi differenze tra un caso e l’altro, generando incertezza giuridica e possibili cause lunghe e complesse.
In sintesi
Questo quesito propone di eliminare i limiti previsti dalla legge per il risarcimento da licenziamento senza giusta causa nelle piccole imprese.
- Chi vota Sì vuole lasciare al giudice la libertà di decidere l’importo giusto per ogni singolo caso, anche superiore ai 6 mesi previsti oggi.
- Chi vota No teme che senza limiti si creino situazioni di incertezza e contenziosi, con possibili danni alle imprese.
Il cuore del dibattito è il bilanciamento tra la tutela del lavoratore licenziato ingiustamente e la sostenibilità economica per le aziende, in particolare le più piccole.
