Il primo dei cinque quesiti referendari riguarda il tema dei licenziamenti illegittimi e propone di cancellare una parte importante della riforma del lavoro conosciuta come “Jobs Act”, approvata durante il governo Renzi nel 2015. In particolare, si tratta del decreto che ha introdotto il cosiddetto “contratto a tutele crescenti” per tutti i lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015.
Questa riforma ha modificato profondamente le regole che proteggevano i lavoratori in caso di licenziamento senza giusta causa. Prima del 2015, grazie all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (introdotto nel 1970 e modificato nel tempo), chi veniva licenziato ingiustamente poteva essere reintegrato nel suo posto di lavoro. Dopo la riforma del Jobs Act, questa possibilità è stata fortemente ridotta: nella maggior parte dei casi, il lavoratore non può più tornare al lavoro, ma riceve solo un risarcimento economico, proporzionato agli anni di servizio (da un minimo di 6 fino a un massimo di 36 mensilità).
Il quesito referendario chiede se vogliamo abrogare (cioè cancellare) completamente quel decreto. Se vincesse il Sì, il contratto a tutele crescenti verrebbe eliminato e si tornerebbe alle regole precedenti, in particolare a quelle della cosiddetta “legge Fornero” del 2012. In base a quella legge, in alcuni casi gravi (come un licenziamento per motivi discriminatori o ingiustificati), il giudice potrebbe ordinare il reintegro del lavoratore nel suo posto. Quindi, votando Sì si tornerebbe a un sistema che in certi casi garantisce non solo un risarcimento, ma anche il diritto a rientrare al lavoro.
Se invece vincesse il No, rimarrebbe in vigore l’attuale sistema del Jobs Act, che prevede soltanto il pagamento di un’indennità economica anche in caso di licenziamento illegittimo, senza possibilità di tornare sul posto di lavoro (salvo rare eccezioni previste dalla legge).
Le ragioni del Sì
Chi è a favore del Sì sostiene che il Jobs Act ha reso il lavoro più precario, ha tolto ai lavoratori una delle principali garanzie contro i licenziamenti ingiusti e ha reso più facile per le aziende liberarsi di chi vogliono mandare via. Secondo i promotori del referendum, tornare a un sistema che prevede il reintegro rafforzerebbe i diritti dei lavoratori e aiuterebbe a costruire un mercato del lavoro più stabile, dove le imprese sono incentivate a investire in qualità e innovazione, piuttosto che a puntare su flessibilità e basso costo.
Alcuni economisti sostengono che maggiore stabilità lavorativa porterebbe benefici a tutto il sistema produttivo, mentre il modello attuale incentiva il lavoro “usa e getta”, che penalizza soprattutto i giovani e le donne. Dal punto di vista politico, chi sostiene il Sì considera il referendum un’occasione per dire basta alla precarietà, che viene vista come un problema diffuso e crescente nel nostro Paese.
Le ragioni del No
Chi è contrario all’abrogazione ritiene invece che cancellare il contratto a tutele crescenti non risolverebbe i problemi del mercato del lavoro italiano. Secondo alcuni giuristi ed economisti tornare alle vecchie regole potrebbe addirittura peggiorare la situazione, aumentando le cause in tribunale e la confusione normativa. Inoltre, secondo loro, l’eventuale ritorno all’articolo 18 così come modificato dalla legge Fornero non garantirebbe tutele molto più forti: ad esempio, il risarcimento massimo per un licenziamento ingiusto scenderebbe da 36 a 24 mensilità.
Altri ritengono che il mercato del lavoro oggi abbia bisogno di maggiore equilibrio e che i veri problemi da affrontare siano i salari bassi e la qualità del lavoro, non tanto le regole sui licenziamenti. Anche alcuni sindacati, come la CISL, preferirebbero rafforzare la contrattazione collettiva invece di tornare a regole più rigide e fonte di conflitto.
In sintesi
Il quesito chiede se vogliamo tornare a un sistema in cui, in caso di licenziamento senza giusta causa, il lavoratore può – in certi casi – essere reintegrato nel suo posto di lavoro, e non solo risarcito con del denaro.
Chi vota Sì vuole reintrodurre questa possibilità, per aumentare le tutele e ridurre la precarietà.
Chi vota No vuole mantenere il sistema attuale, considerato più semplice, meno conflittuale e più adatto al contesto occupazionale di oggi.
